Le polveri sottili della Germania sul futuro dell’Europa.
Potrebbe esserci una correlazione diretta tra l’inquinamento atmosferico delle pianure europee e il sovranismo che sta soffocando l’aspirazione a un’Europa unita. La correlazione, ovviamente, non riguarda l’impatto dei fumi da gasolio sull’ossigenazione dei cervelli del vecchio continente1 ma il modello di crescita industriale imposto dalla Germania a buona parte dell’Europa. La correlazione, infatti, è suggerita da evidenze di politica economica e industriale derivate dalle strategie che la Germania post-Muro ha messo in atto, modificando parte degli assetti socio-economici delle nazioni a lei confinanti.
Non avete solo danneggiato la vostra reputazione, ma avete anche ingannato e deluso i vostri clienti. L’industria automobilistica tedesca deve ora riguadagnare al più presto fiducia e credibilità.
Dal discorso della cancelliera tedesca Angela Merkel per l’inaugurazione del 67° Salone internazionale dell’auto di Francoforte.
Partiamo da una sintesi dei fatti (analizzati nei prossimi paragrafi): grazie all’Euro e al dissolvimento dei confini europei, la Germania ha usato la propria industria automobilistica per produrre una buona quota della ricchezza necessaria a sostenere il processo di riavvicinamento dell’Est con l’Ovest, consolidando il proprio primato economico continentale. Inoltre, la delocalizzazione negli stati di Schengen a monetazione nazionale (come la Polonia o l’Ungheria) ha permesso all’economia tedesca di legare gli stati orientali alla propria politica industriale e commerciale, sottraendoli dalla secolare contesa con la Russia. Soprattutto, anche gli antagonisti di sempre come la Francia e l’Italia sono finiti per gravitare intorno alla “fabbrica” Germania, il cui sistema produttivo incessantemente migliora la propria efficienza al punto che nessun’altra nazione europea è in grado di competere con la produttività tedesca.
Uno dei principali volani (per fatturato, numero di dipendenti etc.) è stata, e continua ad essere, proprio l’industria automobilistica.
Fonte: WTO.
Grazie a questo predominio continentale, l’industria teutonica è andata alla conquista del mondo, rendendo la Germania un esportatore in grado di sopravanzare perfino la Cina nel surplus commerciale2. Nel 2017, la Germania ha registrato un surplus di $ 300 miliardi3 contro la Cina che ha raggiunto i 276 miliardi. Vale a dire che 80 milioni di tedeschi (bambini inclusi) hanno realizzato un risultato produttivo-commerciale (in termini assoluti e non relativi) nettamente superiore a 1,1 miliardi di cinesi (bambini esclusi), pur essendo la Cina seconda potenza economica al mondo.
Un ruolo fondamentale l’ha svolto proprio il comparto automobilistico che, fino allo scandalo del “dieselgate”, è stato il fiore all’occhiello dei governi di Berlino, sempre pronti a porre l’accento sui successi dell’auto tedesca nei mercati extra europei come gli Stati Uniti d’America e la Cina. A minore, lo stesso si può dire dell’Italia grazie al Gruppo Fiat-Chrysler. Del resto, per gran parte del Novecento, il successo competitivo nell’industria dell’auto ha significato un enorme ritorno d’immagine per le nazioni che hanno saputo giovarsene, essendo ancora oggi un settore ad alto assorbimento di manodopera operaia e impiegatizia.
“Germany’s trade surplus is a problem”, studio di Ben Bernanke, ex governatore FED, 3 aprile 2015.
Ad agevolare la popolarità dell’auto contribuisce anche il fatto che si tratta di uno dei settori a più alto investimento pubblicitario: soltanto negli Stati Uniti, la spesa annuale in marketing è di $ 35 Miliardi4.
Il sogno americano dell’auto tedesca.
La Germania, infatti, ha sempre molto sottolineato il successo della propria industria in terra americana, motivo di vanto per le diverse coalizioni politiche al potere. Eppure, nonostante l’indubbia affermazione delle aziende tedesche in terra straniera, gran parte del risultato commerciale è dovuto all’interscambio interno tra Germania ed Europa e solo in parte a quello con gli Stati Uniti.
Le auto vendute in USA dai tedeschi sono soltanto una piccola quota del mercato a stelle e strisce: nel 2016, tutti i marchi teutonici hanno rappresentato poco più del 7,4%5. Quindi, numeri ancora lontani dall’insidiare il predominio giapponese: soltanto la Toyota ha uno quota di oltre il 14%6.
Altro motivo di vanto sono gli stabilimenti tedeschi su suolo americano. Nel 2016, le auto prodotte negli Stati Uniti sono state poco più di 3,9 milioni su 17,1 milioni vendute e quelle prodotte dalle aziende europee 1,8 milioni. In effetti, la quota delle case tedesche è del 40% (700.000) e ben oltre la metà (60%) è stato esportato fuori dagli USA: ad esempio, la BMW è l’esportatore americano di auto più rilevante grazie ai propri impianti collocati negli Stati Uniti7. Addirittura, i SUV della serie X prodotti dalla BMW8 sono realizzati proprio per il mercato europeo.
Quindi, soltanto la metà delle auto vendute dai tedeschi è prodotto direttamente negli USA. Il resto arriva dall’Europa (oppure va in Europa come la BMW X).
Insomma, dopo lustri passati a cercare l’Eldorado nel consumatore americano, i numeri commerciali dei tedeschi non sono così scintillanti come retoricamente raccontato dalla stampa filo-teutonica9.
A proposito di ammaccature imprenditoriali, basterebbe citare il più famoso dei fallimenti teutonici nel nuovo continente: l’acquisizione della Chrysler nel 1998 da parte della Daimler-Benz, ripudiata nel 2007 con la vendita dell’azienda americana a un fondo privato (e poi passata sotto il controllo della Fiat).
Inoltre, è proprio la tecnologia diesel (tanto cara all’ingegneria teutonica) a non avere mercato oltre oceano. In USA il diesel, praticamente, non esiste: oltre il 90% dei motori è a benzina mentre il resto si divide tra diesel, ibrido ed elettrico10.
Ciò nonostante, questo vorticoso scambio di auto tra le due sponde ha comunque saputo sfruttare i vantaggi tariffari, fiscali e di manodopera specializzata degli Stati Uniti, oggetto degli strali da parte dell’amministrazione americana capitanata dal presidente Donald Trump11.
La dipendenza europea.
Per capire dove risieda il vero baricentro dell’auto tedesca bisogna tornare in Europa: qui, le vendite auto nel 2016 sono state di 15,1 milioni di unità per una produzione di 17 milioni12. Di queste, la metà è a propulsione diesel e il 36,8% del totale è tedesco13.
Percentuale auto diesel vendute nel 2017. Fonte: Associazione europea dei costruttori di automobili.
Di conseguenza, dovendo ridimensionare i trionfi teutonici oltre-oceano (a differenza dei giapponesi che davvero possono vantare il predominio a valore e a unità vendute fin dagli anni ’9014), i tentativi di contrasto della presidenza Trump alle automobili tedesche appaiono più come una mossa politica contro l’Europa, grazie alla quale accontentare l’elettorato operaio della cosiddetta “Rust Belt“.
Dopo aver evidenziato la preponderante dimensione continentale della Germania motoristica, proviamo ad analizzare il peso di questa egemonia raggiunta con il martello dell’industria metalmeccanica, di cui l’auto è il comparto più popolare e pubblicizzato. Prima di tutto, bisogna fare ordine sulle relazioni commerciali tra Italia e Germania, visto che il surplus tedesco ottenuto con l’export è il vero nodo del contendere nel processo d’integrazione europea, quantomeno secondo una scuola di economisti italiani ora al potere15.
Lo stivale italiano muove l’economia tedesca.
Nel 2016, l’interscambio Italia – Germania ha totalizzato € 112,1 Miliardi di cui 52,7 dall’Italia contro i 59,4 dalla Germania. Si tratta di un valore record, in aumento del 3,5% rispetto all’anno precedente. Inoltre, in termini di volumi, rappresenta l’interscambio più importante dell’Italia, il primo in assoluto tra tutte le nazioni verso cui esportiamo.
Fonte: Istat.
Ad esempio, l’import/export tra Italia e Germania vale quasi il doppio di quello verso gli Stati Uniti, l’economia più grande del pianeta. Tanto per avere un’idea della dimensione, l’interscambio tra Stati Uniti e Giappone nel 2016 è stato di $ 195,5 Miliardi. Ma la somma degli abitanti di queste due nazioni è tre volte quella di Germania e Italia.
Fonte: Istat.
Dal punto di vista della Germania, il valore dell’interscambio con l’Italia si posiziona al quarto posto. Di conseguenza, la rilevanza dell’interscambio e il leggero deficit a nostro sfavore dimostrano il grado di dipendenza dell’economia italiana da quella tedesca.
Fonte: MIT16.
Eppure, in termini di gamma prodotti, l’export italiano verso la Germania risulta molto più variegato rispetto alla merci che l’Italia importa dalla Germania. Vale a dire che noi importiamo soprattutto automobili e macchine industriali dai tedeschi mentre loro, a parte la componentistica che serve a costruire le automobili che poi ci vendono, importano di tutto dall’Italia (abbigliamento, alimentari, etc.).
Mld di $ | Italia | Germania | Delta |
---|---|---|---|
Macchinari | 14.1 | 17.5 | -3.4 |
Metalli | 8.48 | 6.39 | 2.09 |
Trasporti | 7.72 | 15.2 | -7.48 |
Prodotti chimici | 6.75 | 8.55 | -1.80 |
Varie | 6.48 | 3.69 | 2.79 |
Plastica e gomma | 4.43 | 5.46 | -1.03 |
Alimentari | 3.85 | 3.05 | 0.80 |
Tessile | 3.47 | 1.76 | 1.71 |
Prodotti vegetali | 2.44 | 0.681 | 1.76 |
Miscellanea | 1.71 | 0.932 | 0.78 |
Carta | 1.46 | 1.57 | -0.11 |
Strumentazione | 1.41 | 3.3 | -1.89 |
Abbigliamento | 1.39 | 0.315 | 1.08 |
Pietra e vetro | 1.32 | 0.8 | 0.52 |
Prodotti animali | 1.11 | 2.62 | -1.51 |
Pellame | 0.809 | 0.34 | 0.47 |
Metalli preziosi | 0.757 | 0.813 | -0.06 |
Prodotti minerali | 0.388 | 1.13 | -0.74 |
Derivati vegetali e animali | 0.355 | 0.257 | 0.10 |
Legnami | 0.252 | 0.394 | -0.14 |
Armi | 0.0374 | 0 | 0.04 |
Totale | 68.7184 | 74.752 | -6.03 |
Fonte: Istat.
Alla base di questo intreccio produttivo c’è la specifica struttura industriale dell’Italia: una moltitudine di piccole-medie aziende al servizio di una quota importante di grandi aziende tedesche che poi ricompongo i semi-prodotti in prodotti finiti ad alto valore.
Ad esempio, riguardo il comparto automobilistico, la Germania possiede la quota a più alto valore del mercato italiano: Volkswagen, Audi, Mercedes, Bmw, Mini, Smart e Porsche sono vendute in una quantità poco inferiore al totale del Gruppo Fiat (e, per l’appunto, a un prezzo medio di vendita nettamente superiore con un ticket medio nel generalista di € 18.000 contro i € 15.000 delle italiane)17.
Inoltre, il sistema industriale teutonico è tra i maggiori importatori di parti automobilistiche realizzate dalle medie aziende italiane (il 40% della produzione italiana dei circa € 39 Miliardi nel 2015 va in export. L’80% è venduto in Francia, Germania e Polonia che, a sua volta, è area industriale fortemente dipendente dalla Germania18).
Quindi, se da una parte l’industria italiana dell’automobile ha fronteggiato un progressivo calo delle quote nazionali a favore dei tedeschi, l’industria delle forniture è riuscita a individuare nuovi clienti proprio presso i fabbricanti teutonici.
Fonte: UNRAE.
Considerando il valore dell’interscambio dall’Italia verso la Germania nel settore auto (quasi il 16% del totale) e l’irrisoria quota del gruppo Fiat-Chrysler in Germania (appena il 3,1% nel 201719), possiamo desumere quanto l’auto tedesca abbia legato a se l’industria italiana. Condizioni simili si presentano in altri comparti meno pubblicizzati come i veicoli industriali e commerciali.
Se poi volgiamo lo sguardo dall’Italia ai vicini orientali, è altrettanto facile constatare come l’Europa dell’automobile non abbia confini per la Germania.
Il gruppetto di Visegrád: i nuovi Länder tedeschi.
Polonia e Ungheria sono aree di dipendenza tedesca in quanto la loro produzione industriale e il relativo export dipendono in maniera preponderante dalla Germania.
Quasi il 10% dell’export polacco (nel 2016) riguarda prodotti direttamente forniti all’industria automobilistica tedesca mentre la stessa Germania ha assorbito il 25% delle esportazioni totali prodotte dalla Polonia (l’Inghilterra è la seconda destinazione delle merci polacche ma per una quota del 6,7%)20. In soldoni, un quarto di quanto esportato dalla Polonia finisce in Germania. Per avere indici di interdipendenza così alti tra nazioni confinanti bisogna confrontarsi con la Cina: ad esempio, nel 2016 il 24% dell’export dalla Corea del Sud è stato destinato al mercato cinese.
Fonte: OEC, MIT.
La stessa quota riguarda le importazioni: dalla Germania arriva il 25% dei prodotti importati. Sempre per fare un paragone orientale, il 22% dell’import coreano arriva dalla Cina.
Dimensioni crescenti si riscontrano in Ungheria: il 16% dell’export è realizzato dall’industria dell’auto e la Germania assorbe il 26% dell’export totale (la Romania è la seconda destinazione con il 5,2%).
Fonte: OEC, MIT.
Percentuali “bulgare” riguardano la Repubblica Ceca e la Slovacchia (il 30% dell’export è diretto in Germania). Proprio nella Repubblica Ceca, l’export automobilistico pesa quasi il 21% dell’export. Ma su tutte, la Slovacchia presenta un’incidenza dell’auto sul totale export pari al 28% (mentre la quota dell’export verso la Germania è del 21%). Addirittura, la seconda destinazione della Slovacchia è proprio la Repubblica Ceca (il 10% dell’export), dato che a sua volta lavora e assembla semi-lavorati slovacchi che poi confluiscono verso la Germania.
Fonte: OEC, MIT.
Ovviamente, nessuna di queste nazioni possiede una propria industria nazionale dell’auto: la Skoda, marchio simbolo della rinascita industriale cecoslovacca dopo la caduta dell’Impero Asburgico, appartiene al gruppo Volkswagen dal 1991.
Tutti questi stati dipendenti (o “vassalli” si sarebbe detto ai tempi dell’Imperium) fanno parte a pieno titolo dell’Unione Europea (e, quindi, dell’area Schengen di libero scambio) ma soltanto la Slovacchia adotta l’Euro. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno concordato delle date per abbandonare le valute nazionali ma le procedure vanno a rilento21.
A questa geografia-economica basata sull’industria automobilistica tedesca va aggiunta l’Austria, da sempre solido alleato economico e politico. Orbene, l’Austria importa dalla Germania il 42% dei beni e ne esporta il 27%. Il secondo partner per interscambio è proprio l’Italia ma supera di poco il 6% sia nell’export che nell’import.
In pratica, l’Austria è un Länder tedesco.
Un’industria troppo pesante.
Ora, analizzando l’aggregato economico della Germania, automobili e componentistica pesano sul totale dell’export tedesco per oltre il 16,5% (€ 212 Miliardi nel 201622. Nel 2014, il totale dell’industria automobilistica ha fatturato € 368 Miliardi su € 2.932 Miliardi del totale PIL23.
È uno dei settori a più alto impiego del mondo, con oltre 800.000 dipendenti nella sola Germania.
Se poi analizziamo il settore in termini di fatturato prodotto dai marchi tedeschi, quindi includendo le componenti di ricavo distribuite in Europa così da comprendere il valore trans-nazionale dell’industria automobilistica tedesca, il dato è oltremodo chiarificatore: il solo fatturato prodotto a livello globale nel 2017 dalle aziende auto tedesche è stato di oltre € 524 Miliardi.
Fatturato in Mld di € | 2017 |
---|---|
Volkswagen | 230.7 |
Daimler | 164.3 |
BMW | 98.7 |
Porsche | 23.5 |
Opel | 7.2 |
Totale | 524.4 |
Fonte: Bilanci aziendali.
Tanto per avere un termine di confronto, il PIL italiano nel 2016 è stato di € 1.680 Miliardi, onde per cui l’industria tedesca vale quasi un terzo del nostro prodotto interno lordo.
E dato che la Germania è avanti alla Cina in quanto surplus commerciale (valori assoluti), viene facile paragonare le milioni di automobili tedesche che invadono i mercati confinanti come a eleganti e pacifiche colonne di tank. Fortunatamente, non sono dotate di cannoni e mitragliatrici come 80 anni fa, anche se ogni auto tedesca che invade lo spazio vitale europeo diventa oro sonante tesaurizzano lungo le rive del Reno.
Oro del Reno!
Oro del Reno!
Lucente letizia,
come ridi serena, sublime!
Splendente splendore
ti sfugge fulgendo nell’onda sacra!
L’oro del Reno, scena I°, di Richard Wagner.
Ma come tutti i colossi, anche quello tedesco è afflitto dal più comune dei difetti, vale a dire dai “piedi di argilla”. In questo caso i piedi di argilla riguardano proprio la tecnologia a combustione (in primis, diesel) che fino ad oggi ha retto la trazione industriale tedesca.
Infatti, la tecnologia motrice delle auto è rimasta la stessa dai tempi dei Panzer che dilagavano sulle pianure europee (il diesel è stato brevettato nel 1892). E se, fino ad oggi, la spinta verso oriente (la famigerata “Drag nach Osten”) è risultata più efficace, e meno traumatica, a bordo di Mercedes e Volkswagen24 che a bordo di carrarmati Tiger, ora il cambiamento tecnologico imposto dall’elettrificazione diffusa e portatile sta incrinando la stabilità del colosso.
Questo non vuol dire che il successo economico della Germania sia esclusivamente basato su un settore industriale di inizio Novecento. L’università MIT misura il livello di complessità economica delle nazioni attraverso un indicatore elaborato dal dipartimento delle scienze economiche (“Economic Complexity”25): orbene, nel 2017 la Germania è risultata terza al mondo (dietro Giappone e Svizzera), una posizione che mantiene stabilmente da anni e che contribuisce al suo ruolo primario su buona parte dell’Europa.
Complexity Ranking | Country | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 |
---|---|---|---|---|---|---|---|
1 | Giappone | 2.31 | 2.32 | 2.37 | 2.31 | 2.34 | 2.29 |
2 | Svizzera | 1.95 | 2.01 | 2.05 | 1.99 | 2.12 | 2.05 |
3 | Germania | 1.94 | 1.87 | 1.84 | 1.81 | 1.91 | 1.95 |
4 | Sud Corea | 1.7 | 1.64 | 1.82 | 1.9 | 1.97 | 1.79 |
5 | Svezia | 1.8 | 1.75 | 1.75 | 1.64 | 1.61 | 1.75 |
19 | Italia | 1.33 | 1.31 | 1.21 | 1.24 | 1.24 | 1.21 |
Indice della complessità economica. Fonte: OEC, MIT.
Ciò nonostante, una buona fetta di questo primato deriva proprio dagli investimenti in ricerca e sviluppo dell’industria motoristica tedesca.
E, per l’appunto, comparando l’industria dell’auto alle aziende americane nate con la rivoluzione digitale, i numeri assumono una dimensione diversa. Tutti i marchi teutonici fatturano più del doppio della Apple (quasi $ 229 Miliardi nel 2017) la quale però impiega 123.000 dipendenti contro i 642.000 della sola Volkswagen26. Se invece allarghiamo lo spettro da Apple alle “Big 5” della tecnologia USA (Google, Microsoft, Facebook e Amazon), si evince immediatamente il gap tra fatturati e quantità (a parte della qualità) del personale impiegato nelle nuove fabbriche rispetto ai “vecchi” impianti novecenteschi.
L’insostenibile leggerezza dell’elettrico.
Nel nuovo millennio, continuare a investire miliardi di dollari nel diesel perché insormontabile vertice di una tecnologia “vecchia” come quella a combustibile, è come credere di essere all’avanguardia dopo aver installato nel salotto di casa un telegrafo con cui sentiamo amici e parenti invece di tenere in tasca uno smartphone.
L’industria tedesca dell’auto è la più avanzata del secolo scorso.
Battuta della Silicon Valley a proposito del predominio tedesco nell’ingegneria motoristica a combustione.
Certo, oggi stiamo assistendo alla rinascita del vinile e degli impianti audio valvolari ma, come per le auto d’epoca, si tratta di costosi consumi voluttuari che rientrano più nella sfera delle passioni domenicali che in quella dei consumi di massa.
Nondimeno, tutti i prodotti americani della new economy necessitano della medesima forma di energia per poter funzionare: l’elettricità.
Non che l’auto elettrica sia un’invenzione degli ultimi decenni: il primo prototipo risale alla fine dell’ottocento27.
Invece, è l’elettrificazione distribuita e immagazzinata grazie alla digitalizzazione e alle nuove batterie a essersi avviata verso un’innovazione radicale e continua e, di conseguenza, sta definitivamente mutando anche l’industria dell’auto. L’elettricità disintermedia le tradizionali filiere produttive e logistiche sorte nel novecento: una presa elettrica la si trova ovunque. Questo significa non dover ricorrere all’inquinante e costosa struttura distributiva di gasolio e benzina (dalle raffinerie alle pompe di benzina). Più o meno, quanto lo scienziato Nikola Tesla aveva previsto a fine Ottocento.
E l’avanguardia commerciale che sostanzia il nuovo corso dell’America motoristica è, per l ‘appunto, la Tesla.
Al di là delle critiche mosse al business model di questo neonato marchio, è sufficiente evidenziare che nel 2017 il fatturato della Testa ha raggiunto $ 11,7 Miliardi28, un valore di gran lunga superiore a quello della Opel nel medesimo periodo (€ 7,2 Miliardi, vedi tabella precedente). Nel caso dovesse mantenere questi ritmi di crescita (e sopravvivere al costo degli investimenti) il sorpasso sulla Porsche non appare lontano.
Fonte: Business Review Tesla.
Alla più avveniristica Tesla bisogna affiancare case automobilistiche tradizionali come la Toyota e la Nissan-Renault, le quali offrono da anni una vasta gamma di ibride ed elettriche, in continua evoluzione ed espansione a scapito dei motori tradizionali29.
Inoltre, la stessa Cina (vero mercato estero d’elezione per l’industria auto tedesca) ha messo il motore elettrico al centro del suoi programmi di avanzamento tecnologico-industriale, anche per rispondere al grave inquinamento urbano delle sue megalopoli30.
Nei programmi del governo cinese, l’elettrificazione della mobilità è la leva con cui costruire una propria supremazia nei trasporti31: già oggi, in termini assoluti, è la nazione dove la quota di auto elettriche cresce in maniera più sostenuta (si stima di arrivare a 2 milioni di auto l’anno entro il 202032) e, difatti, i produttori cinesi controllano i due terzi della produzione di batterie in Asia grazie alle ricche miniere locali di terre rare, necessarie alla loro costruzione.
Questa rivoluzione, oramai in pieno movimento per le strade, impone una riconversione industriale cui la Germania si è a lungo sottratta (rispetto, ad esempio, ai giapponesi) e proprio a causa dei giganteschi investimenti necessari.
Il costo di riconversione all’elettrico per le case automobilistiche tradizionali è stimato in $ 255 Miliardi fino al 202533, costo che andrà ad impattare sui profitti che tanto cospicuamente garantisce una tecnologia come il diesel, il cui investimento è stato ampiamente ammortizzato decenni fa. Anche perché, una volta massificato il motore elettrico, l’obsolescenza riguarderà ogni motore meccanico a combustione, benzina incluso.
Un sinistro rumore di ferraglia.
Conseguenza immediata è il fatto che nonostante i profitti record dell’auto tedesca, le quotazioni in Borsa sono ai minimi storici premiando, al contrario, la capitalizzazione di un’azienda come Tesla che ancora nel 2018 non ha generato profitti34.
Orbene, se una buona fetta della ricchezza industriale europea è realizzata con il comparto industriale più “antiquato”, la distruzione creativa35 dell’auto elettrica potrebbe mettere a rischio il benessere acquisito da larghe fasce della popolazione europea, proprio perché pervicacemente basato su una tecnologia così desueta come il motore a scoppio36.
Non vi sono dubbi che la conversione comporterà cambiamenti sfavorevoli all’attuale forza lavoro37: intere professionalità non saranno più utili e l’automazione spinta (facilitata dalla minor complessità costruttiva dei motori elettrici) potrebbe ridurre drasticamente la manodopera richiesta. Manodopera tra le più retribuite e specializzate d’Europa e che compongono il nerbo socio-economico degli stati dell’Europa orientale.
Export in % verso la Germania delle nazione europee (2017). Fonte: OEC, MIT.
Pertanto, se già adesso gran parte dell’Europa a servizio dell’industria tedesca è attraversata da moti populisti e sovranisti, cosa accadrà quando intere regioni subiranno la trasformazione industriale imposta dalla Silicon Valley38?
La Germania ha sostenuto l’estensione dei confini europei verso le nazioni orientali senza aver favorito o guidato una reale integrazione socio-politica di queste nel complesso della Comunità Europea. E ha lasciato catalizzare sull’Unione Europea il disagio dell’elettorato locale mantenendo di fatto lo status quo e, anzi, spesso opponendo una ferrea tenuta della politica monetaria.
Eppure è stata soprattutto la Germania a spingere per l’ingresso della Polonia, della Repubbliche Ceca, della Slovacchia e dell’Ungheria, in assoluto i maggiori beneficiari degli investimenti comunitari, anche rispetto a nazioni europee più deboli ma che pure hanno partecipato alla prima fondazione (come Grecia e Portogallo) rinunciando da subito a quote della proprio sovranità (monetazione inclusa).
E, per l’appunto, è proprio la Germania a sostenere la politica degli investimenti comunitari verso il famigerato gruppetto di Visegrád39 in forza del rilevante saldo negativo tra quanto versa e quanto riceve dalla Comunità Europea40.
Fonte: EU.
Soprattutto, aspetto più preoccupante, le istituzioni tedesche non sembrano aver elaborato un’alternativa alla rete socio-economica basata sulla massimizzazione di una tecnologia vetusta come quella dei motori. Almeno non pubblicamente, a parte l’idea altrettanto sovranista di un’Europa a due velocità con cui compensare eventuali asimmetrie future41.
Nel frattempo, le grandi metropoli europee stanno introducendo divieti sempre più stringenti alla circolazione di auto diesel: nazioni come l’Olanda e città come Milano hanno già fissato le date in cui potranno dirsi “diesel-free”42.
Per il momento, a garantire il periclitante mercato dei propulsori a combustione è il flusso fiscale che l’auto genera per i governi europei grazie a tassazioni e monopoli sui carburanti. Soltanto in tasse, l’Europa dei 15 incassa € 413 Miliardi l’anno (2017)43.
Lo Stato italiano, tra accise sui carburanti, quota parte sui pedaggi autostradali, immatricolazioni e via elencando, incassa € 73 Miliardi l’anno. E per Stato possiamo considerare sia quello centrale che l’entità periferiche come regioni e comuni. Escludendo da ciò l’industria delle multe, che da sola regge il bilancio di gran parte delle città44.
Miliardi di € | Italia | Germania | Francia | Spagna |
---|---|---|---|---|
IVA da vendita e servizi | 17.35 | 29.747 | 15.606 | 0 |
Carburanti e lubrificanti | 35.82 | 42.152 | 36.412 | 18.758 |
Registrazione tasse | 1.69 | 0 | 2.188 | 4.364 |
Proprietà tasse | 6.61 | 8.952 | 0.859 | 2.718 |
Patente rilascio | 0 | 0.168 | 0 | 0.064 |
Assicurazioni tasse | 3.88 | 4.3 | 4.739 | 0 |
Pedaggi | 2.03 | 4.6 | 11.796 | 0 |
Imposte specifiche | 0 | 0.6 | 0 | 0 |
Altre tasse | 5.62 | 0 | 1.858 | 0.708 |
Totale | 73 | 90.519 | 73.458 | 26.612 |
Autovetture circolanti Mln | 37.876 | 45.803 | 32 | 22.876 |
Abitanti Mln | 60.483 | 82.2 | 67.795 | 46.539 |
Rapporto auto / abitante | 62.62% | 55.72% | 47.20% | 49.15% |
Fonte: ACEA per il 2016.
Per avere una proporzione, il bilancio italiano nell’anno 2018 ha previsto entrate per € 579 Miliardi45, per cui le entrate generate dalle auto pesano per oltre il 12%. Certo, il valore andrebbe scorporato della quota che trattengono le Regioni (bollo auto) ma basta valutare il peso delle accise sul carburante per intuire quanto la transizione dai motori a combustione all’elettrico potrebbe costare in termini fiscali.
Dunque, possiamo stimare in un sesto la quota del benessere europeo che poggia su questa architettura industriale e fiscale, la cui chiave di volta è una tecnologia desueta e a rischio di obsolescenza a causa della concorrenza extra-continentale (USA e Cina in primis).
Eppure, risulta inspiegabile l’ostinazione tedesca a non dare evidenza di quanto sia rischio l’evoluzione (o devoluzione) ordinata dell’idea di Europa. Infatti, dovrebbe apparire evidente quanto sia fuorviante avere come unico assillo nel dibattito europeo i debiti e i bilanci di nazioni come l’Italia e la Grecia. Soprattutto quando nella stessa Germania il declino della coalizione CDU-SPD, quella che più ha legato le proprie sorti politiche a questo modello industriale, sia in crisi di fronte all’avanzata dei Verdi.
In Italia, il peso della Fiat rende ancora più drammatico il potenziale rischio (peso stimato nel 16% del Pil dal 21%, quando anche la sede fiscale era in Italia46).
Ad esempio, per un’importante quota degli italiani sarebbe auspicabile un ritorno alla lira47 pur di contrastare “la gabbia tedesca dell’euro”48. Parte dell’establishment politico-accademico italiano che ha guadagnato la maggioranza parlamentare con le elezioni del 2018, insieme al suo elettorato, vede nella Germania un arcigno tutore dei propri interessi a discapito di quelli europei. Prima di tutto impedisce all’Italia una qualsiasi politica espansiva utile a ridar fiato all’asfissia economico-industriale, anche al costo di maggior deficit e debito. Al contempo approfitta dell’empasse italiana per cumulare un surplus commerciale che rimane tutto in pancia alla Germania, vale a dire senza che sia reinvestito in un aumento dei salari tedeschi (e, quindi, in propensione al consumo) né in investimenti finanziari diretti verso i vicini europei49.
Nel frattempo, concetti come dazi, mercantilismo, protezionismo sono tornati ad essere le leve con cui nerboruti capi di stato pensano di scardinare le vecchie (a loro dire) regole del mercato globale. Ovviamente, per una nazione come l’Italia che fa parte dell’area di libero scambio (dogma fondativo dell’Unione Europea), chiudere le frontiere alle merci tedesche come si faceva ai bei vecchi tempi50 risulterebbe complicato senza uscire dall’euro.
E difatti, l’uscita dall’Euro è un’opzione ormai paventata a giorni alterni, sia come autonoma decisione nazionale sia come conseguenza indotta dal ribellismo politico sbandierato dal governo giallo-verde del Movimento Cinque stelle e della Lega.
Eppure, alla luce dello scandalo tedesco sul “dieselgate”51, l’Italia potrebbe assumere una posizione più aggressiva.
Innanzitutto, comprare meno macchine diesel gioverebbe al nostro ambiente peninsulare (meno polveri sottili, meno azoto etc.52) il quale, soprattutto nel caso dell’ingolfata Padania, mal si presta a una tecnologia vecchia di oltre un secolo.
Se i motori diesel hanno minori responsabilità in termini di CO2 immessa nell’atmosfera, sicuramente risultano i maggiori colpevoli nelle emissione di inquinanti per l’essere umano come il particolato53.
L’Italia adora l’odore del diesel la mattina.
Di poi, con un’industria italiana dell’auto in ritirata, dovrebbero aprirsi spazi per una politica più aggressiva sia dal punto di vista industriale che socio-ambientale.
Imporre rapidamente l’elettrico significherebbe mettere in crisi l’auto tedesca e chiedere a gran voce un cambiamento concertato con il resto dell’Europa per dare un futuro a centinaia di migliaia di lavoratori e alle loro famiglie. Un governo davvero intenzionato a contro-bilanciare la strapotere tedesco dovrebbe appoggiare un rapido cambio di tecnologia, incentivando realtà totalmente innovative come la Tesla ad aprire una delle sue Gigafactory in Italia54.
Lo stesso Movimento Cinque Stelle nacque proprio sull’onda del successo di Beppe Grillo quale mattatore delle distorsioni del capitalismo, in primis dell’industria automobilistica.
Celebre è rimasto lo show del 1995 sulle auto elettriche e a idrogeno, momento fondativo dell’avventura politica del comico genovese. Il successo convinse Grillo ad estendere le proprie battute dal palcoscenico al dominio del dibattito politico.
Invece, uno dei dogmi della rivoluzione pentastellata è stato tradotto nella più tradizionale delle soluzioni: una nuova tassa con cui “punire” le auto inquinanti55.
Una soluzione che, tra l’altro, ha già dimostrato gli effetti sociali ovunque: comune la rabbia delle fasce più deboli in USA e in Francia contro le politiche ambientaliste dei governi centrali.
Ovviamente, una riconversione tecnologica del genere significherebbe stravolgere molti degli assetti nazionali. Prima di tutto, rappresenterebbe un vulnus all’industria automobilistica nazionale, ancor meno preparata dell’industria teutonica al cambio di paradigma. Inoltre, sconvolgerebbe le entrate fiscali derivanti dalle accise sulla benzina e dai dividendi che l’ENI riconosce alla proprietà pubblica. E difficilmente l’elettricità dell’Enel riuscirebbe a sostituire con le proprie bollette le entrate derivanti dal petrolio. Senza sorvolare sugli interessi di una moltitudine di fornitori dell’industria tedesca che nel Nord Italia rappresentano la spina dorsale della Lega e del suo leader Salvini.
Ma non porre questo tema al centro delle attenzioni politiche significa tradire doppiamente gli italiani: rispetto al loro destino di nazione e rispetto al loro futuro nel mondo, con o senza Europa.
Eppure, agli inizi del Novecento, proprio un certo Nikola Tesla ebbe a scrivere:
La trasmissione economica dell’energia senza fili è di importanza fondamentale per l’uomo. Gli permetterà infatti di dominare incontrastato sull’aria, sul mare e sui deserti. L’uomo sarà libero dalla necessità di estrarre minerali o petrolio, trasportare e bruciare combustibili, abolendo così molteplici cause di inquinamento.
The Transmission of Electrical Energy Without Wires As a Means for Furthering Peace, di Nikola Tesla.
- Sul danno ambientale dell’auto tedesca ai cittadini europei, ecco un articolo del 1 giugno 2018 di Bloomberg che evidenza le preoccupazioni della Comunità Europea. ↩︎
- Per un confronto sul surplus della bilancia commerciale tra Germania, Cina e USA si può far riferimento a questo articolo a firma di Ben Bernanke, ex governatore della Federal Reserve. Pubblicato nel 2015, segnalava i rischi conseguenti allo strapotere industriale tedesco. Oppure, si consiglia il draft qui linkato a firma di Jan Priewe, professore emerito dell’Università di Berlino per le scienze applicate, pubblicato nel 2017 ↩︎
- Per gli anni precedenti, si può far riferimento al seguente articolo del Sole24Ore. ↩︎
- Il 10% dei ricavi. I dati sono citati dal seguente articolo firmato dalla società di consulenza Deloitte. ↩︎
- Circa 1,32 milioni di vetture vendute tra Volkswagen (con Porsche), Daimler e BMW. I dati sono stati pubblicati dalla “Delegazione Europea negli Stati Uniti” e sono qui consultabili. ↩︎
- Il progressivo gennaio-ottobre delle vendite USA è qui consultabile. ↩︎
- Fare riferimento alla nota n.5. ↩︎
- Da questo paper dell’amministrazione americana, i numeri dell’export dagli Stati Uniti. ↩︎
- Basta leggere i toni della stampa specializzata italiana come Quattroruote quando si da notizia dell’auto tedesca in USA. Ecco un esempio. ↩︎
- L’unica statistica individuata sul web riguardante la ripartizione delle vendite USA in termini di alimentazione, risale al 2013 ed è pubblicata dal sito dell’OICA, ovvero l’Organizzazione internazionale dei produttori di auto. Si può leggere il documento da questo link. ↩︎
- Per una disamina sulla questione tariffaria che ha scatenato il confronto USA e Germania, si può far riferimento al seguente articolo della CNN. ↩︎
- I dati sono quelli pubblicati dall’Associazione europea dei costruttori di automobili e qui consultabili. ↩︎
- Escludendo la Opel, marchio tedesco ma di proprietà dei francesi PSA. I dati del mercato europeo dell’auto nel 2017 sono qui presenti. Nel 2016 la quota è stata del 37,1%. ↩︎
- Nel 2017, le auto giapponesi prodotte nel territorio americano sono state quasi 3,8 milioni. Per i dati sull’industria automobilistica giapponese si può far riferimento al sito della JAMA, associazione dei marchi del Sol Levante.][14. Nel 2017, le auto giapponesi prodotte nel territorio americano sono state quasi 3,8 milioni. Per i dati sull’industria automobilistica giapponese si può far riferimento al sito della JAMA, associazione dei marchi del Sol Levante. ↩︎
- Tra gli anti-tedeschi alla ribalta, Paolo Savona e la sua Lettera agli amici tedeschi e italiani del 2012. Per una sintesi, si fa riferimento a questo articolo de il Giornale. ↩︎
- Fonte MIT qui consultabile. ↩︎
- I dati si riferiscono all’andamento vendite in unità ad ottobre 2018, mensilmente pubblicati dall’UNRAE. ↩︎
- Una sintesi economica del settore componentistica auto la si può leggere da il Sole 24 Ore. ↩︎
- Vedi le statistiche delle vendite in Germania presso questa pagina. ↩︎
- Fonte MIT qui consultabile. ↩︎
- Riguardo il pluriennale slittamento nell’adozione dell’Euro da parte della Polonia è sufficiente far riferimento alla seguente pagina di Wikipedia. ↩︎
- Vedi l’Atlas dell’Mit. ↩︎
- Per un approfondimento sulla struttura dei ricavi relativi al comparto auto tedesco, ecco uno studio della Ernst & Young tedesca pubblicato nel 2016. Invece, la seguente tavola sul Pil tedesco dal 1950 ad oggi. ↩︎
- Non a caso l’auto simbolo della Volkswagen, vale a dire il Maggiolino, sarebbe dovuto servire proprio a questo, ai neo-coloni tedeschi per prendere il controllo delle sconfinate pianure orientali grazie alle autobhan. ↩︎
- Si può far riferimento a questa pagina di approfondimento del MIT. ↩︎
- Numeri presenti nelle business review annuali per gli azionisti. ↩︎
- Per una storia dell’auto elettrica si rimanda alla voce di Wikipedia. ↩︎
- Si può far riferimento a questa sintesi di mercato. ↩︎
- Da gennaio 2018, la Toyota ha cessato la produzione di vetture diesel. ↩︎
- La determinazione politica è espressa nel 13° piano quinquennale (2016-2020) redatto dal governo cinese, qui consultabile. ↩︎
- Sulle intenzioni cinesi a insidiare il primato tedesco, si può far riferimento a questo articolo pubblicato nel luglio 2018 da Epoch Times. ↩︎
- Per un approfondimento sull’industria auto a trazione elettrica in Cina, si può far riferimento a questo articolo del Wall Street Journal. ↩︎
- Si fa riferimento a questo studio di settore della società di consulenza strategica AlixPartners, pubblicato a settembre 2018. ↩︎
- Un’approfondita disamina sui rischi che l’industria tedesca dovrà affrontare è stata pubblicata dal Financial Times il 23 ottobre 2018. Leggibile da qui. ↩︎
- Alla distruzione creativa fa riferimento uno studio del 2018 pubblicato dalla più antica fondazione di studi politici, la Friedrich-Ebert-Stiftung (FES). ↩︎
- È sufficiente citare la storia del common rail, una tecnologia totalmente sviluppata in Italia da Fiat e Magneti Marelli per migliorare l’efficienza dei motori diesel. Brevettata all’inizio degli anni ’90, la Bosch acquisì il brevetto pur di non trovarsi con una spina piantata dal fianco italiano. Sulla vicenda del common rail si sprecano le teorie complottistiche. Rimane il fatto che lo Stato italiano, fino a quel momento avversario del diesel con la famigerata tassa del “super-bollo”, pareggiò verso il basso il prelievo fiscale con la benzina, incentivando la cessione della tecnologia ai tedeschi da parte di una Fiat già allora in difficoltà. ↩︎
- L’articolo a firma di Maurizio Ricci qui leggibile lancia un’allarme del medesimo tenore e fa riferimento proprio all’articolo del Financial Times prima citato. Pubblicato nella rubrica Eurobarometro, la Repubblica il 27 ottobre 2018. ↩︎
- Sull’impatto della Silicon Valley nella Valle renana, ecco un articolo della rivista on-line Innovation&Tech. ↩︎
- Il raggruppamento di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Sulla fondazione di questa sub-comunità europea si faccia riferimento a Wikipedia. ↩︎
- Per una sintesi sulla distribuzione degli investimenti pubblici europei tra le diverse nazioni si può far riferimento al seguente articolo de ilPost.it. ↩︎
- Sul drammatico confronto che si sta consumando nel centro della Mitteleuropa si fa riferimento al seguente articolo a firma di Federico Petroni, pubblicato su Limes del 13 settembre 2017. ↩︎
- La lotta che zone dell’Europa hanno intrapreso contro i più desueti motori diesel va proprio in questa direzione. La città di Milano, da gennaio 2019, impedirà l’ingresso a un’ampia gamma di veicoli in forza di un’area a traffico limitato più ampia della già funzionante Area C (che impone un pedaggio ai veicolo inquinanti). ↩︎
- Per un dettaglio sul valore socio-economico dell’auto nell’ambito della comunità europea si può far riferimento a questo studio dell’Acea, l’Agenzia europea per l’auto. ↩︎
- A Milano, l’incasso alla voce “multe” vale € 292 Milioni l’anno e pesa per il 4,1% del bilancio comunale. Basta scorrere il documento annuale pubblicato dal comune. ↩︎
- Vedere il bilancio preventivo pubblicato dalla Ragioneria Generale dello Stato italiano. ↩︎
- Un interessante punto sulla relazione Fiat – Italia in occasione della scomparsa di Sergio Marchionne è pubblicato sul sito industriaitaliana.it del 23 luglio 2018, a firma di Filippo Astone. ↩︎
- Si fa riferimento al sondaggio IPSOS del 5 giugno 2018 secondo il quale il 51% degli elettori della Lega sarebbe d’accordo per abbandonare l’Euro. L’articolo è qui raggiungibile. ↩︎
- Si rimanda alle citazioni del professor Savona raccolte in un articolo del Post leggibile da qui. ↩︎
- Riguardo all’accumulo senza investimenti del surplus tedesco, si può far riferimento a questo articolo de la Repubblica dell’8 settembre 2018. ↩︎
- Basti ricordare la guerra del vino tra Italia e Francia. Si faccia riferimento a questo articolo de Il Federalista. ↩︎
- Per una rassegna sullo scandalo che ha investito l’industria automobilistica tedesca nell’alterazione dei dati relativi alle emissioni di inquinanti dei propri veicoli, si può far riferimento al seguente articolo di Wikipedia. ↩︎
- Per un approfondimento, ecco un articolo specifico. ↩︎
- Per un’approfondita analisi sulla chimica del diesel si fa riferimento a questo studio intitolato The pollutant emissions from diesel-engine vehicles and exhaust aftertreatment systems, pubblicato da Springer nel giugno 2011. ↩︎
- Per l’apertura di uno stabilimento di produzione Tesla sono in lizza dall’Estonia al Portogallo. Vedere alla seguente voce Wikipedia. ↩︎
- Si fa riferimento al disegno di legge presentato dal Movimento 5 Stelle ai primi di dicembre 2018 e inserito nella manovra finanziaria. Vedi questo articolo de la Repubblica del 7 dicembre. ↩︎